“Se presso al mattin del ver si sogna”
“Se presso al mattin del ver si sogna”: è il settimo verso del canto XXVI dell’Inferno. Il canto descrive l'ottava bolgia, dove vengono puniti i consiglieri fraudolenti. Si apre con un’invettiva a Firenze che lo collega al canto precedente, dove Dante ha incontrato cinque ladri fiorentini. Alla città Dante profetizza prossime sciagure facendo riferimento a un sogno profetico da lui avuto, del quale sottolinea la veridicità collocandolo all’alba: “se presso al mattin del ver si sogna”, se i sogni fatti all’alba sono veritieri.
Il verso allude alla concezione, diffusa nel MedioEvo, che i sogni fatti in vicinanza del mattino, quando la mente è libera da bisogni e passioni, siano sogni“veri”, capaci di svelare il futuro. Questo verso sarà commentato alla luce della tradizione onirocritica antica, medievale e moderna, cristiana e laica.
Più che un discorso sulle possibili fonti cui il poeta ha presumibilmente attinto, tra le quali figurano Ovidio, Orazio e Avicenna − fonti su cui comunque brevemente ci si soffermerà − il verso di Dante sarà posto a confronto con la Traumdeutung di Freud. Si discuterà in particolare la sua relazione col costrutto della Reihe von Träumen (serie dei sogni), costrutto che segna anche una certa continuità con l’onirocritica veterotestamentaria. Il riferimento sarà qui a due fonti di Freud: Giuseppe (nella rivisitazione di Filone Alessandrino) e Karl Albert Scherner.
Sarà infine affrontata la questione del rapporto sogno/verità, con particolare riferimento alla letteratura patristica occidentale − a partire dal De anima di Tertulliano − e orientale, nonché alla letteratura filosofica, con particolare riguardo a Descartes e Wolff.