“Le cose tutte quante hanno ordine tra loro”. Armonie e disarmonie nelle rappresentazioni dantesche della natura
La diffusione della Scolastica, in piena età medievale, apre la strada ad una rinnovata fiducia nella ragione e nei suoi strumenti conoscitivi e produce un profondo cambiamento nella concezione della natura; essa si laicizza, perdendo quella valenza simbolico-allegorica che era stata carattere essenziale della sensibilità medievale e alla base del sentimento di continuità tra natura e divino.
Non accade lo stesso ai poeti: “Il senso allegorico del mondo muore gradatamente e il gusto allegorico della poesia rimane, familiare e radicato. Il XIII secolo, nelle sue manifestazioni di pensiero più evolute, rinuncia definitivamente alla interpretazione allegorica del mondo, ma produce il prototipo dei poemi allegorici, il Roman de la Rose” (U. Eco, 1987).
Saranno dunque i poeti a perpetuare l’immagine di una realtà naturale che parla attraverso una fitta rete di simboli, sui quali l’uomo eserciterà l’arte dell’interpretazione – fonte per lo spirito medievale di profondo diletto. E saranno proprio i poeti a ribadire l’idea di una continuità fra la natura e il soprannaturale: una natura di cui l’uomo si sente intimamente partecipe e dove si colloca come parte di un tutto, contemplandola “da vicino”, con uno sguardo miope privo di distanza e di oggettivazione.
Nella Commedia dantesca la natura si rivela strumento privilegiato per manifestare il rapporto di armonia e disarmonia esistente fra creatore e creatura. Dalle raffigurazioni di una natura infernale stravolta, deformata, violata, espressione di una frattura profonda fra l’uomo e Dio, passando attraverso alcune raffigurazioni naturalistiche del Purgatorio, in cui si percepisce la ricerca di una ricomposizione ancora non raggiunta, la nostra carrellata di immagini giungerà al tripudio luminoso del Paradiso, dove gli elementi naturalistici ritrovano l’indicibile perfezione primigenia, a testimoniare la ricomposta unità del Tutto.