Il rapporto tra parola e immagine nella poesia di Paul Celan
Paul Celan nacque in Romania nel 1920, da genitori ebrei di lingua tedesca che morirono in un campo di concentramento durante la Seconda Guerra mondiale. Egli stesso fu prigioniero in un campo di lavoro in Moldavia. Nel 1947 emigrò a Parigi, dove lavorò come traduttore e continuò a scrivere poesie nella sua lingua madre. Nel 1970, a cinquant’anni, si uccise gettandosi nella Senna.
Celan rispose con i suoi versi alla nota affermazione di Adorno che “dopo Auschwitz, nessuna poesia, nessuna forma d'arte, nessuna affermazione creatrice è più̀ possibile”. Celan parlò e cantò per la memoria del mondo, spingendo il linguaggio verso il punto più̀ crudele e insieme più̀ intimo, riaffermando sul male e sul silenzio il potere del poeta. In occasione del conferimento del premio letterario Città di Brema (1958), nel discorso di ringraziamento disse: “Raggiungibile, vicina e non perduta in mezzo a tante perdite, una cosa sola: la lingua. La lingua, essa sì, nonostante tutto, rimase acquisita. Ma ora dovette passare attraverso tutte le risposte mancate, passare attraverso un ammutolire orrendo, passare attraverso le mille e mille tenebre di un discorso gravido di morte. Essa passò e non prestò parola a quanto accadeva; ma attraverso quegli eventi essa passò. Passò e le fu dato di riuscire alla luce, 'arricchita' da tutto questo. Con questa lingua, in quegli anni che seguirono, io ho tentato di scrivere poesie: per parlare, per orientarmi, per accertare dove mi trovavo e dove stavo andando, per darmi una prospettiva di realtà̀”.
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