Il Sogno, crocevia di mondi

Daniela Iotti, Angela Peduto
25 maggio 2013

Il Sogno, crocevia di mondi

Daniela Iotti, Angela Peduto

"Gli uomini sognavano ben prima che esistesse una psicoanalisi" diceva Freud e, possiamo aggiungere, sognano ovunque, in tutti i mondi, anche là dove non c'è psicoanalisi. Prima di farsi racconto e diventare oggetto di interpretazione, il sogno è per ciascuno evento soggettivo, enigma; è esperienza di un ignoto dal quale siamo attraversati, luogo misterioso dove l'Io incontra qualcosa di inaspettato, appartenente ad altri mondi. Che l'incontro sia con ciò che chiamiamo inconscio, o invece con demoni, spiriti o divinità, il suo significato si sottrae alla comprensione del sognatore e richiede l'intervento di un interprete esterno, donatore di senso, capace di portare alla luce le potenzialità del sogno e di inserirlo in un processo di socializzazione.

In molte società tradizionali il sogno possiede una valenza profetica, è in grado di annunciare eventi futuri e di suggerire e orientare le scelte di vita non solo del sognatore, ma anche della collettività a cui appartiene. Come la visione e il mito, il sogno permette di dare significato al mondo dell'invisibile e di conoscere altre dimensioni.

Nella cultura occidentale l'atteggiamento è ambivalente; da un lato, in nome di un'adesione esasperata al reale, il sogno è relegato al ruolo di fenomeno residuale e illusorio, quasi futile, privo di particolari conseguenze, fenomeno tutt'al più di carattere folklorico o interessante per la neurofsiologia. Dall’altro lato, nell'ambito della psicoanalisi e della psicologia del profondo, nella tradizione letteraria e in quella antropologica, recupera la sua centralità e il suo potere creativo e trasformativo: diviene allora nucleo d'origine delle credenze umane (come le religioni e i miti), momento primo dell'esistenza umana, accesso privilegiato al senso originario della realtà (Foucault 1954), generatore di mondi, fonte di ispirazione.

La nostra società, satura di linguaggio tecnico e ubriaca di informazione, sembra perdere ogni giorno di più la capacità di sognare. Parlare del più evanescente e del più effimero tra i fenomeni umani risponde ad una scelta precisa: ridare posto al sogno significa ridare posto al mito, alla poesia, alla potenza e alla caducità dell’immaginario, al mistero che abita le nostre notti e ci ricorda che qualcosa sempre manca e sempre mancherà al nostro sapere. Nel 1930 L. Binswanger scrisse un breve testo, Traum und Existenz, nel quale affrontò l’esperienza onirica come “luogo” privilegiato in cui le strutture dell’esistenza si rivelano nella loro forma più autentica. Egli volle descrivere l’esistenza, nel suo spessore positivo e più signifcativo, proprio là dove essa appare più dissimulata, più ingannevole e sfuggente. A questo paradosso desideriamo ispirarci.

Questa giornata è stata pensata come “spazio” di lavoro multidisciplinare tra antropologi, etnopsichiatri e psicoanalisti. Il dialogo multidisciplinare esige che ognuno sia un po' straniero per l'altro, in ragione della sua cultura, del suo terreno di lavoro, della singolarità del suo pensiero. È una forma di resistenza al rischio che una disciplina si chiuda e si appiattisca su se stessa. Per questa stessa ragione gli psicoanalisti che hanno accettato di partecipare, pur trovando nella psicoanalisi una patria comune, hanno storie culturali e inclinazioni teoriche differenti, perfino molto lontane. Siamo convinti che l'estraneità, piuttosto che la familiarità, possa indurre effetti di apertura. E che la prospettiva multidisciplinare sia la più adatta a creare una parola “altra”, un “altrove” capace di mettere alla prova il nostro sapere e di obbligarci a lottare contro le nostre credenze. Dunque non un rassicurante incontro tra esperti intorno a un tema già dato, ma un confronto capace di generare un “nuovo oggetto che non appartiene a nessuno” (Barthes 1984) e di produrre una “interrogazione autoriflessiva sui presupposti dei saperi chiamati a interagire” (Beneduce 2005). Del resto non è il sogno stesso per ciascuno di noi esperienza di un altrove, di una parola sconosciuta che irrompe straniera nel cuore stesso della nostra vita?

Molte domande sono sorte lungo il cammino che ha portato al colloquio di oggi. Proveremo ad articolarne alcune. Quali cambiamenti di prospettiva, quali creative deviazioni del pensiero, può indurre nello psicoanalista la clinica transculturale e la riflessione teorica a cui essa obbliga? In che modo gli antropologi guardano al sogno? E che cosa accade alla visione psicoanalitica, tendenzialmente universalistica riguardo ai processi di costruzione del sogno, quando essa si misura con la prospettiva antropologica? Cosa può dirci l’antropologia intorno alla funzione del sogno nelle culture? E cosa fare del sogno, col sogno, quando si entra sul terreno della cura? Se ammettiamo che l’ordine culturale e simbolico, che informa la nostra esperienza, influenzi anche l’esperienza onirica, come penseremo questo rapporto? A quali livelli dell'esperienza onirica?

Quanto alla nostra cultura, tutti gli psicoanalisti possono trovarsi d’accordo nel concepire il sogno come una particolare forma di pensiero ad alto valore di significatività e non come forma residuale e marginale dell’attività mentale. Ma essi sono consapevoli della natura sempre precaria e mai definitiva del sapere psicoanalitico. Da qui la necessità di interrogarsi circa le differenze nel modo di concepire e di trattare clinicamente il sogno nei vari modelli psicoanalitici postfreudiani e la necessità del confronto con la prospettiva junghiana. Quest’ultima ha mantenuto viva quella passione per la vita onirica che la psicoanalisi postfreudiana, presa tra gli sviluppi americani della psicologia dell’Io e quelli europei dello strutturalismo e della linguistica, non sempre ha saputo garantire. Ma ha anche modificato in maniera radicale le tesi psicoanalitiche e la prassi che ne consegue.

E ancora.... Il sogno basta di per sé a produrre trasformazioni nel soggetto? La sua funzione è già compiuta nell’atto stesso del sognare? Che ne è allora del lavoro di interpretazione, a cui Freud non ha mai cessato di riferirsi? Vi rinunceremo? E da quale visione della mente discenderà questa rinuncia? Forse ogni sogno “attende il suo interprete”, come dice Tobie Nathan (2010) o, come dice il Talmud, “un sogno non interpretato è come una lettera non letta”, ma le forme e i modi di questa interpretazione cambiano col tempo, facendosi più ricchi o viceversa impoverendosi. In questo la cultura, le culture, dettano le loro leggi.

Forma e funzione del sogno, contenuti e decifrazione, cultura, soggettività, inconscio e coscienza... infine narrazione, che ci coinvolge come testimoni e talora come interpreti, sul filo sempre enigmatico del transfert: il sogno è al crocevia di molti mondi.

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