Fedra
Fedra portava in sé tracce di antiche colpe e di antichi misteri. Fu figlia di Minosse, re di Creta, figlio di Europa e Zeus. E della sposa di lui Pasifae, figlia del Sole, sorella di Circe. Attraverso Pasifae si consumò una complicata storia di vendette divine che ruotava intorno a un magnifico toro bianco inviato in dono da Poseidone per Minosse. Per quel toro Pasifae concepì una folle e funesta passione, al punto da volersi congiungere con esso. Dalla mostruosa unione nacque il Minotauro che Dedalo - l’architetto - rinchiuse nel segreto e nell’oscurità del labirinto.
Fedra fu poi sposa di Teseo, che la condusse in Grecia. Qui cadde in furioso languore per il figliastro Ippolito, casto seguace di Artemide. Da lui respinta si uccise, accusandolo tuttavia di averla posseduta con violenza. Sull’innocente giovane si abbatté la vendetta del padre: Ippolito morirà straziato da un mostro in forma di … toro.
Colpevole o innocente, vittima del destino o furiosa sovversiva, fragile o potente? Fedra è tutto questa insieme, divinamente umana, gravata lei, lei sola, del peso di quell’enigma che chiamiamo amore.
Approfondimenti
Angela Peduto: Introduzione: Fedra, la splendente
Raffaele Riccio: Amore e dismisura nell’Ippolito di Euripide
Angela Peduto: L’ombra del Minotauro
Antonella Cosentino: Fedra nell’antichità: Seneca
Gilda Tentorio: Variazioni su Fedra nella Grecia del Novecento
Antonella Cosentino: Fedra nell’antichità: Euripide
17 Novembre 2018
Introduzione: Fedra, la splendente
Angela Peduto
Il mito è stato riscritto molte volte, ogni volta interrogato secondo lo spirito del tempo e il genio dell’interprete. Euripide, nel 428 a.C., ne dà la prima, fondamentale variante: un Ippolito velato andato perso, poi quell’Ippolito coronato che giunge fino a noi. Il destino dei tre protagonisti, Fedra, Ippolito, Teseo, è retto dalla volontà degli dei, cui non è dato opporsi. Cinque secoli dopo Seneca scrive un dramma orfano di dei e abitato dalle contraddizioni e dalla violenza delle passioni umane: Fedra è in balìa dell’amore e dell’odio, Teseo dell’orgoglio offeso e del desiderio di vendetta, Ippolito della paura davanti all’amore. Tra Euripide e Seneca si collocano le Heroides di Ovidio. Con questi testi Fedra giunge a incarnare compiutamente il grande tragico mythos occidentale d’amore e di morte. Riappare nel Seicento nella Phèdre di Racine, opera di ineguagliata bellezza. Euripide, Seneca e Racine sono i tre modelli cui guarda ogni successiva rielaborazione del mito. Molti dunque sono i volti di Fedra: in queste due giornate ne saranno catturati alcuni, attraverso le riscritture di Marina Cvetaeva (1928) e Marguerite Yourcenar (1957), di Ghiannis Ritsos (1974/75) e Patrizia Valduga (1996), fino alla recente Phaedra di Henze (2007), opera concerto in cui la tragedia dei due protagonisti si sublima nella bellezza della musica e nel mito della resurrezione di Ippolito ad opera di Artemide.
17 Novembre 2018
Amore e dismisura nell’Ippolito di Euripide
Raffaele Riccio
Il problema chiave nell'Ippolito di Euripide è la dismisura. Sia Fedra che Ippolito sono esempi di eccesso, di dismisura. Ippolito, figlio dell’amazzone Antiope, venera solo Artemide, la dea vergine, e rifiuta il passaggio di status sociale che comporta l'accettazione della sessualità matura e le nozze. Fedra è figlia di Minosse e Pasifae. Implicitamente porta con sé la fallacia del padre Minosse e la sessualità dirompente – dono di Afrodite – della madre. Fedra e Ippolito incarnano due mondi opposti ma
hanno in comune la non accettazione del proprio status, che porterà ad un contrastato e drammatico rapporto d’amore.
Nel caso di Fedra assistiamo ad una sorta di innocenza del personaggio: Fedra è come un vaso che deve accogliere i sentimenti ispirati da Afrodite. Non può sottrarsi, anche se tenta di negarli, per una sorta di aretè che le proibisce la parola.
Questa mancanza la fa ammalare e smaniare come folle. Il suo pensiero è “nefando” a causa di ciò che prova per il figliastro Ippolito e diventa una colpa sociale. Pur non essendo la madre naturale di Ippolito è sposa del padre Teseo: se cedesse al suo amore, cadrebbe in un incesto non tanto fisico quanto culturale. La colpa pubblica ricadrebbe sulla sua persona in quanto figlia di Pasifae e poi sui suoi figli legittimi, avuti da Teseo. Ippolito, da parte sua, reagisce con l'inesperienza del giovane e del maschio non ancora maturo. Rifiuta Afrodite e proprio questo lo porta alla rovina. Si trincera contro l’amore, vuole restare in un luogo di confine senza accettare i ruoli sociali previsti dai riti di passaggio. La dunamis della tragedia, basata sulla differenza psicologica dei personaggi, porterà alla morte di entrambi e alla conclusione del dramma.
Platone sosteneva nel Protagora (323d), per bocca di Socrate: “E che la loro sapienza fosse di tale natura lo si può capire considerando quelle sentenze concise e memorabili, che furono pronunciate da ciascuno e che, radunatisi insieme, essi offrirono come primizie di sapienza ad Apollo, nel tempio di Delfi, facendo scolpire quelle sentenze che tutti celebrano: Conosci te stesso (γνώθι σαυτόν) e Nulla di troppo (μηδὲν ἄγαν).” La mancata relazione tra i due poli, rappresentati dalle massime di Delfi, ovvero la conoscenza di sé e la limitazione degli eccessi, comporta la dismisura e dunque l’avvento della tragedia.
24 Novembre 2018
L’ombra del Minotauro
Angela Peduto
Fedra. La luce è inscritta nel suo nome: “luminosa” è, letteralmente, il significato del nome Phaidra (che nella lingua greca viene dall’aggettivo phaidros, lucente). È la stessa radice pha del nome di sua madre, Pasifae, che in greco significa “colei che risplende per tutti”. La forma maschile “Pasiphaes” compare nell’inno orfico al Sole come attributo di Helios. Di Helios Pasifae è figlia: Fedra dunque discende direttamente dal Sole per via materna, la luce essendo inscritta anche nella stirpe.
Fedra la splendente è in verità sospesa tra luce e ombra, come nella tragedia euripidea lo è tra parola e silenzio. Immersa in un labirinto di richiami senza tempo, di cui è sovrana xassoluta, Fedra sarà, come scrive D’Annunzio, indimenticabile; è uscita dal mito 2500 anni fa per entrare nello spazio tragico. Non vi è rimasta confinata, immobile e identica a sé stessa nello scorrere dei millenni. In molti si sono avventurati a interrogare la sua ombra, scendendo in quel luogo dove tutto è presente e assente nello stesso tempo, dove i fili di tanti destini si annodano nel cappio con cui si Fedra si uccide. Pasifae, Arianna, Dioniso, Minosse, Teseo, il Minotauro, il Toro, Europa, Io, la Potnia, Demetra, Kore, Persefone … il tessuto del mito, dice Kerényl, è “privo di orli”. Si può scavare a profondità sempre maggiori, spingersi oltre e poi ancora oltre, illudersi di trovare una via d’uscita e accorgersi che tutto ricomincia daccapo.
Colpevole o innocente, vittima del destino o furiosa sovversiva, fragile o potente? Fedra è tutto questa insieme, divinamente umana, gravata lei, lei sola, non Ippolito né Teseo, del peso di quell’enigma che chiamiamo amore. Non Ippolito, casto efebo devoto solo alla natura e alla caccia, che vive nel verde intrico della selva, tenacemente lontano dalle passioni umane, non Teseo, l’eroe spavaldo e insolente, distratto e incostante, dedito alle avventure e ai rapimenti amorosi. Lei sola, Fedra, conosce l’amore, e in questo labirinto si smarrisce, si aggroviglia, fino a stringerne definitivamente il nodo nel cappio che le dà la morte.
24 Novembre 2018
Fedra nell’antichità: Seneca
Antonella Cosentino
Differenze sostanziali intercorrono fra l’Ippolito di Euripide e la Fedra di Seneca, a cominciare dal titolo: Seneca intende da subito mettere al centro il personaggio femminile, di cui vuole indagare l’animo e i meccanismi che suscitano la passione, anziché il personaggio maschile di cui lei è innamorata e che sdegnosamente rifiuta il suo amore. Altri significativi cambiamenti nell’organizzazione della trama hanno fatto supporre che il modello senecano non fosse Euripide ma una Fedra sofoclea oggi perduta; a prescindere da ogni problematica filologica, è importante sottolineare come il mondo della Fedra senecana sia un mondo “di uomini”, non più abitato da dei (Artemide e Afrodite che occupavano uno spazio strutturalmente significativo nell’Ippolito di Euripide sono del tutto scomparse) e dominato da una sorte cieca e ingovernabile alla quale è impossibile opporsi. Qui sentimento e razionalità si scontrano ed è l’”amor tremendo” della donna ad avere ragione, è la sua incontrollabile, divorante passione ad averla vinta, una passione interamente umana, svincolata da logiche divine in grado, per certi versi, di giustificarla. È del tutto inutile che Fedra tenti di opporsi alla forza irresistibile del suo amore insano, la sua è una lotta già perduta in partenza, così come risulta irrimediabilmente compromesso in questa tragedia il messaggio educativo senecano, fondato sull’importanza della “bona mens”, dell’equilibrio, in grado di dominare l’”insania”, cioè l’irrazionalità.
24 Novembre 2018
Variazioni su Fedra nella Grecia del Novecento
Gilda Tentorio
Per comprendere Fedra e le sue risonanze nella Grecia moderna, occorre ripartire dall’isola dove è nata, Creta, fulcro misterioso di forze ancestrali e ribollenti, come ha mostrato nelle sue opere il cretese Nikos Kazantzakis. La fortuna letteraria di Fedra in Grecia trova il suo nume tutelare in Ghiannis Ritsos, che nel 1974-1975 le dedica un poemetto: uno squarcio nell’ambiguo mondo interiore di Fedra, un’eroina forte che denuncia l’ipocrisia sociale e sceglie volontariamente di darsi all’eros, purificatore e portatore di morte. Dopo Ritsos Fedra è diventata eroina filmica (notevole la riscrittura di Jules Dassin nel 1962 con la splendida Melina Merkouri) e soprattutto di recente ha calcato le scene del teatro greco: Fedra o Alcesti Love Stories di Elena Penga (2007) è un’opera postmoderna in cui si scopre che le due eroine mitiche così diverse possono scambiarsi i ruoli. Vassilis Alexakis con il dramma Non mi chiamare Fofò (2008) sceglie invece la parodia per riflettere sulla sorte dei miti: da migliaia di anni Fedra vive insieme alla nutrice in una microscopica isola greca, nell’attesa beckettiana che succeda qualcosa: è lontana dal nostro mondo, eppure vicina e irrinunciabile.
17 Novembre 2018
Fedra nell’antichità: Euripide
Antonella Cosentino
Cercare di definire la straordinaria modernità di Euripide è difficile: la percepirono tutti, compresi i suoi detrattori che gli rimproverarono molte cose. Aristotele, nella sua Poetica, riassume bene uno degli aspetti che più lo caratterizzarono: Sofocle rappresentò gli uomini come dovrebbero essere, Euripide li mise in scena come sono. Affermazione acuta, che si porta dietro altre caratteristiche della “rivoluzione” euripidea, la stessa rivoluzione che fece affermare a Nietzsche: “La tragedia muore
suicida per mano di Euripide”.
Se la tragedia è la massima espressione culturale del mondo greco perché in essa si incontrano le due grandi forze che animano lo spirito greco - l'apollineo, cioè l'ordine, la razionalità, e il dionisiaco, cioè il caos, l'irrazionalità, sola legge che domina la Vita -, se in Eschilo e Sofocle queste due forze sono in perfetto equilibrio consentendo così allo spettatore di immedesimarsi spontaneamente nell'eroe tragico e, attraverso la catarsi, sublimare liturgicamente il dionisiaco dandogli ordine e compostezza, “Euripide - dice Nietzsche - porta lo spettatore sulla scena e trasforma l'azione drammatica in dibattito teorico, riproduce nell'arte la mediocrità del quotidiano, abbandonando la profondità religiosa del mito”. Con Euripide si chiude quindi l'età di Dioniso e il dionisiaco è definitivamente espulso dalla cultura occidentale: la tragedia perde ogni valenza mistico-simbolica, ogni funzione catartica e si avvia a diventare una sorta di dramma borghese. “Euripide - sancisce Nietzsche esagerando la portata della ricezione del Socratismo nell'arte euripidea -, è in un certo senso solo maschera: la divinità che parla per bocca sua non è Dioniso e neanche Apollo, bensì un demone di recentissima nascita chiamato Socrate”.
Di sicuro l'equilibrio fra dionisiaco ed apollineo che aveva contraddistinto i tragici precedenti e che Nietzsche aveva sottolineato come peculiarità della tragedia classica, è in Euripide fortemente compromesso, cosicché nell’Ippolito la loro inconciliabilità genera un dolore che non può essere sanato. Ma, nonostante abbia tratto da Socrate e dai sofisti il gusto per la dialettica, appare anche fortemente compromessa l'idea socratica secondo cui l'analisi razionale produce una conoscenza che si identifica con il bene. Sia Ippolito che Fedra non vedono nell'equivalenza ragione/ comportamenti etici una via di salvezza. Forse non è arbitrario pensare che la sconfitta di Teseo, il mitico eroe fondatore della democrazia e dell'ordine, sia in fondo la sconfitta irrimediabile dello spirito socratico, e che il razionalismo euripideo serva in fondo a mettere in evidenza soltanto le aporie della realtà.