Le benevole
Il libro, uscito in Francia nel 2006, ha ottenuto un immediato successo di pubblico e di critica, con oltre 800.000 copie vendute, moltissime traduzioni, continue ristampe, il Grand Prix du roman dell'Académie française e il Prix Goncourt.
L’autore è un giovane e allora sconosciuto scrittore americano, proveniente da una famiglia ebreo-polacca emigrata negli Stati Uniti alle fine del XIX secolo. Studia a Parigi, poi a Yale, per approdare in una ONG con la quale per sette anni percorre i Balcani, allora in conflitto, la Cecenia, l’Afghanistan, alcuni paesi africani. I suoi reportage da questi luoghi e più tardi dalla Siria, e il film sui bambini soldati dell’Uganda sono segno della sua volontà di affrontare coraggiosamente le violenze umane e renderne testimonianza.
Opera di immaginazione, ma accuratamente documentata, Le Benevole ha come protagonista un ufficiale nazista colto, di raffinata educazione intellettuale, appassionato di musica, che, narrando in prima persona, conduce il lettore negli abissi della Storia. Per circa mille pagine questo inaudito attore e testimone attraversa e descrive gli eventi più atroci e inumani della Seconda Guerra: cupa discesa agli inferi dove la follia, che ad ogni girone s’impadronisce del personaggio e lo trascina verso il fondo, si incontra e si riverbera nella follia del reale, di ciò che è realmente accaduto.
“Fratelli umani, lasciate che vi racconti com’è andata. Non siamo tuoi fratelli, ribatterete voi, e non vogliamo saperlo. Ed è ben vero che si tratta di una storia cupa, ma anche edificante, un vero racconto morale, ve l’assicuro. Rischia di essere un po’ lungo, in fondo sono successe tante cose, ma se per caso non andate troppo di fretta, con un po’ di fortuna troverete il tempo. E poi vi riguarda: vedrete che vi riguarda.”
“Frères humains …”: le prime parole del romanzo rinviano direttamente alla Ballata degli impiccati di F. Villon (“Frères humains qui après nous vivez …”) e ne collocano da subito il contenuto su un piano ontologico. Il lettore è chiamato in causa nella sua individualità, ma anche come interlocutore collettivo, per volgere lo sguardo al passato, ma anche a sé stesso e all’intera umanità che sperimenta i propri limiti e i propri cammini più spaventosi.
Così, sebbene il racconto sia immaginario, l’incipit, il ricorso a documenti storici del tutto verificabili e alcune dichiarazioni dello stesso Littell, lo proiettano, al di là del momento storico in cui si svolge, sul piano del destino collettivo dell’umanità. La letteratura trova qui la sua ragion d’essere più radicale e sovversiva: “Je pense à une parole qui peut révéler ses propres abîmes”: l’ambizione di Littell è creare una parola che riveli – o sfiori – quel punto dove la terra manca, dove il pensiero si arresta, dove nessuna risposta appare possibile.
(Angela Peduto)