L’avvenire di una rivolta

Julia Kristeva
Il Melangolo, 2013 (Flammarion, 2012)

L’avenir d’une révolte fu pubblicato nel 1998, per essere ripubblicato nel 2012; a distanza di alcuni anni uscivano Sens et non-sens de la révolte e La révolte intime. Un percorso che nel 2021 approda al colloquio di Cerisy, dal titolo Révolte et reliance: la reliance è il “legare, stabilire un legame”. 

È uno dei molti fili che si intrecciano nell’opera proteiforme di Julia Kristeva, concetto enigmatico che non si stanca di interrogare negli anni, attraverso la letteratura, la filosofia, l’esperienza psicoanalitica, incrociando la questione politica e la questione dell’essere donna.

Ci pare un concetto da rilanciare nello spazio affettivo e intellettuale, in un momento storico dove all’incombere oppressivo della crisi – bellica, climatica, politica, migratoria – sembra fare da contrappunto solo l’impotenza, salvo ricorrere al’anestesia nella bolla mediatica o digitale. Nel nostro mondo globalizzato la rivolta non manca: “Sommosse popolari, giovani in collera, dittatori detronizzati, presidenti cacciati dalle loro oligarchiche fortezze, speranze e libertà represse in carcere, processi farsa e bagni di sangue: la rivolta sta forse risvegliando l’umanità digitale dal suo sogno di iperconnessione?”. Ma quale senso dare a questa parola? Kristeva si rivolge alla radice sanscrita, VEL, che vuol dire “tornare indietro, riscoprire, recuperare”: un movimento circolare da cui viene la “rivoluzione dei pianeti”. La ri-volta è il rimettere in questione sé stessi, i valori, il mondo. La pressione della tecnica, dell’immagine, la velocità sempre più vertiginosa dell’informazione, cancellano ciò che la psicoanalisi, l’arte e l’esperienza religiosa ci insegnano: che l’essere umano, l’essere parlante, non è vivo che a condizione di avere una vita psichica. E la vita psichica esiste solo a condizione del suo movimento, della capacità di rimettersi perennemente in gioco, di tornare indietro per spingersi in avanti, di rimettere perennemente in questione le norme, i valori, la propria identità – sessuale, nazionale, linguistica -, i propri desideri e le proprie sofferenze. Donne e uomini si rivoltano grazie alla loro inquietudine di “cercatori”, di “ricercatori” di sé stessi, quando si interrogano sul mondo e su ciò che sono o potrebbero essere. “In via in patria”, diceva S. Agostino: la sola patria è il viaggio: viaggio dell’esperienza analitica, ma non soltanto: viaggio nella propria singolarità attraverso l’arte, la scrittura, le molte vie che si si aprono all’esperienza umana purché se ne dia il tempo e i mezzi. Nell’Uomo in rivolta, ci ricorda Kristeva, Camus scriveva “Je me révolte donc nous sommes”, “Mi rivolto dunque siamo”. E le piace trasformare queste parole così: “Je me révolte donc nous sommes à venir”, “Mi rivolto, dunque siamo a-venire, siamo ciò che ancora non siamo”: i possibili sono lì. (A.P.)

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