Editoriale Marzo 2022
Il filosofo e l'apocalisse
Ascoltiamo sgomenti le minacce che rimbalzano sullo scacchiere delle strategie militari; i più avvertiti sanno che basta poco per sprofondare nell'incubo nucleare. “Non siamo mai stati così vicini all’autoannientamento”, ha detto recentemente Rachel Bronson, direttrice del Bulletin of Atomic Scientist, “le superpotenze parlano di testate nucleari come se fosse sempre più scontato il loro utilizzo[1]".
Nel 1947 gli scienziati del Bulletin of Atomic Scientist decisero di quantificare attraverso un orologio simbolico il rischio che l’umanità ha di autodistruggersi. Molti di loro avevano lavorato al progetto Manhattan durante la Seconda Guerra ed erano pienamente consapevoli del pericolo rappresentato dalle armi nucleari: volevano che i leader politici e la gente comune capissero che quelle armi sono in grado di annientare la civiltà e l’intera specie umana.
Quando l’orologio fu ideato eravamo in piena guerra fredda e la mezzanotte indicava la possibilità di una guerra atomica; dal 2007 gli scienziati hanno aggiunto molte altre situazioni potenzialmente capaci di distruggere il pianeta: cambiamento climatico, minacce biologiche, intelligenza artificiale e … diffusione della disinformazione.
L’orologio viene regolato ogni anno a gennaio. Nel 1947 gli scienziati sistemarono le lancette a sette minuti dalla mezzanotte. L’intervallo più ampio, diciassette minuti, fu toccato solo nel 1991, con la fine della guerra fredda e la firma, tra USA e Unione Sovietica, del “Trattato di riduzione delle armi strategiche”. Per il resto la lancetta ha oscillato a qualche minuto dalla mezzanotte. Nel 2019 era posizionata a due minuti dalla fine. Oggi è a 100 secondi.
Era la seconda metà degli anni cinquanta e il filosofo Günther Anders annunciava l’apocalisse. Della bomba e delle radici. Della nostra cecità all’Apocalisse concludeva il primo volume di Die Antiquiertheit des Menschen, pubblicato nel 1956 [tradotto in italiano nel 1963 col titolo L’uomo è antiquato). Il secondo volume uscirà nel 1980 e sarà tradotto in italiano nel 1992. I drammatici eventi storici del Novecento, da Auschwitz a Hiroshima e Nagasaki, dal Vietnam alla guerra fredda, collocati sullo sfondo di uno sviluppo tecnico apparentemente illimitato, sono ciò che alimenta la riflessione filosofica di Anders, il suo pessimismo radicale ma anche la sua instancabile battaglia volta a risvegliare la consapevolezza della fine e la responsabilità etica di ciascuno di noi. Oggi dobbiamo rileggere Anders.
La tecnologia, sostiene Anders, ha compiuto un salto di qualità tale da rendere l’uomo “obsoleto”: l’uomo è ormai incapace di stare al passo col mondo abitato dai prodotti che ha fabbricato, la sua immaginazione e la sua percezione non sono più adeguate a fargli comprendere questi prodotti e a rappresentarsi le conseguenze del loro uso. “La grandezza degli effetti delle nostre azioni trascende definitivamente le nostre capacità psichiche, cioè la nostra forza immaginativa. Ciò che si può fare praticamente […] è più di quanto ci si possa rappresentare [2]". Il mondo come macchina è l’orizzonte della nostra modernità, quello verso cui siamo diretti, in una pericolosa e inarrestabile inversione di soggettivazione che passa dall’uomo alle cose e dischiude davanti a noi un “mondo senza uomo”. “Abbiamo rinunciato […] a considerare noi stessi come i soggetti della storia; ci siamo detronizzati (o lasciati detronizzare) e al nostro posto abbiamo collocato altri soggetti della storia, anzi un altro soggetto: la tecnica, la cui storia non è, come quella dell’arte o della musica, una fra le altre, bensì la storia, o perlomeno è diventata la storia nel corso del più recente sviluppo storico; il che trova terribile conferma nel fatto che dal suo corso e dal suo impiego dipende l’essere o non essere dell’umanità [3]".
È il punto chiave del percorso di Anders: la terza rivoluzione industriale [4] ha prodotto mezzi in grado di portare l’uomo all’autodistruzione. Non è in gioco il semplice abuso di una potenzialità tecnica; al contrario, è in gioco quella cancellazione dell’uomo (Auslöschung) che caratterizza l’età contemporanea e che ci riduce a cosa tra le cose. La bomba non è stata soltanto un’evenienza spaventosa e la decisione più grave di tutta la storia moderna, ma la tragica epifania di questa definitiva uscita dell’uomo dalla storia. Con la bomba l’umanità è diventata capace di auto annientarsi - “Compresi già subito […] che il 6 agosto rappresentava il ‘giorno zero’ di un nuovo computo del tempo [5]". Nella sua smisurata eccedenza rispetto all’uomo, essa segna un punto di non ritorno: se si verificasse una guerra atomica “ciò che resterebbe non sarebbe più una situazione storica, ma un campo di rovine sotto cui sarebbe sepolto tutto ciò che una volta è stato storia. E se l’uomo sopravvivesse, nonostante tutto, non sarebbe più un essere storico, ma un miserevole residuo: natura contaminata nella natura contaminata [6]". Per questo il 6 agosto 1945 segna per Anders l’ingresso dell’umanità nell’Endzeit, il Tempo della Fine, preludio alla Fine dei Tempi: l’apocalisse diventa il nostro destino e tutto ciò che possiamo fare, che dobbiamo fare, è ritardarla indefinitamente.
Nello stesso periodo in cui Anders parlava di Hiroshima, Hannah Arendt, che per un certo periodo fu anche sua moglie, rifletteva su Auschwitz: entrambi facevano del male il perno della loro speculazione filosofica. Ma, come scrive Jean-Pierre Dupuy, filosofo delle catastrofi [7], era un nuovo regime del male quello che Anders tentava di identificare: H. Arendt individuava nella “mancanza di immaginazione” la chiave dell’infermità psicologica di Eichmann, G. Anders mostrava che l’infermità non è di un uomo in particolare ma di tutti gli uomini quando la loro capacità di fare, che comprende anche la capacità di distruggere, diventa sproporzionata alla condizione umana. Allora il male si autonomizza: sradicata dalle categorie umane di rappresentazione e di giudizio, mostruosa nella sua dismisura, la bomba è stata utilizzata perché esisteva: semplicemente.
È noto che Anders intrattenne un lungo carteggio con Claude Eatherly, il ventisettenne pilota che la mattina del 6 agosto 1945 era al comando di un aereo da ricognizione incaricato di verificare le condizioni meteorologiche della zona. Al suo segnale il bombardiere che lo seguiva sganciò Little Boy, la bomba che colpì Hiroshima. Celebrato come eroe, Eatherly abbandonò la carriera militare e passò il resto della vita consumato dalla colpa e dal desiderio di espiazione. Dichiarato malato di mente, venne ricoverato nell’ospedale psichiatrico di Waco ed è qui che lo raggiunse la lettera di Anders (3 giugno 1959), a cui rispose. Il loro scambio epistolare, che si protrasse fino al 1961, rappresenta un documento di straordinaria importanza.
L’eccezionalità della sua esperienza è rappresentata dal suo farsi carico, moralmente ed emozionalmente, di un’azione a cui aveva soltanto collaborato e le cui conseguenze non era stato in grado di immaginare. Questa capacità di sentire atrocemente la colpa, pur in assenza di colpevolezza, fa di Eatherly l’antitesi di Eichmann, l’opaco impiegato della morte che si limita a eseguire ordini. Contro il silenzio delle coscienze e la cecità di fronte all’apocalisse, Eatherly, “l’ultima vittima di Hiroshima”, è simbolo della capacità, profondamente umana, di sentire, immaginare e disperarsi: è questa la sua libertà. “Avendo avuto il coraggio di non stornare lo sguardo e l’udito dalle furie che lo circondavano, come altri hanno saputo fare così bene, proprio la sua sofferenza testimonia della sua libertà [8]".
Ci piacerebbe pensare che la scintilla umana della colpa, del dolore e della responsabilità per l'umanità presente e futura possa accendersi e interrompere la maligna spirale distruttiva che rischia di travolgerci tutti. Al momento, purtroppo, non se ne vedono i segni.
- https://www.repubblica.it/cultura/2022/02/28/news/doomsday_clock_orologio_apocalisse_clima_guerra_nucleare-339703951/
- Günther Anders, (1961), L’ultima vittima di Hiroshima. Il carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba atomica, Mimesis, 2016, cit. p. 95
- Id., (1980), L’uomo è antiquato, Boringhieri, 1992, vol. 2., cit. p. 258
- Nella prima le macchine sostituiscono la forza umana rendendola superflua e le macchine producono altre macchine; nella seconda la forza lavoro umana è sottoposta a un processo di razionalizzazione e, poiché l’eccesso di prodotti ne sovrasta il consumo, occorre generare il bisogno. Il bisogno stesso diventa un prodotto.
- G. Anders, (1979), Il mondo dopo l’uomo. Tecnica e violenza, Mimesis, 2008, cit. p. 73
- Id., L’uomo è antiquato, op. cit., cit. p. 246
- Jean-Pierre Dupuy, “Un paradis habité par des meurtriers sans méchanceté et des victimes sans haine”: Hiroshima, Tchernobyl, Fukushima, Ebisu, 47/2012
- G. Anders, L’ultima vittima di Hiroshima, op. cit., cit. p. 228