Editoriale Settembre 2024

Angela Peduto

Elogio delle biblioteche

Troviamo, nel Courrier dell’Unesco del febbraio 1985, dedicato a biblioteche e archivi, queste parole di Jorge Louis Borges, tratte dalla sua autobiografia.

“La biblioteca di mio padre è stato l’evento capitale della mia vita. Là mi fu svelata quella cosa misteriosa che è la poesia, là mi si rivelarono i mappamondi e le illustrazioni, a quel tempo più preziose per me dei caratteri stampati. Vi scoprii Grimm, Lewis Carroll e la profondità quasi infinita delle Mille e una notte. In un poema successivo ho scritto:

mi figuravo il paradiso sotto forma di una biblioteca.

In una delle sue Lettere a Lucilio, Seneca si faceva beffe di un uomo che possedesse una biblioteca di cento volumi. Nel corso della mia lunga vita non credo di aver letto cento volumi, ma ne ho sfogliato qualcuno di più.

E, innanzitutto, enciclopedie: da Plinio a Brockhaus, passando per Isidoro di Siviglia, Diderot e l’undicesima edizione della Britannica, di cui immagino il dorso dorato nella fissa penombra della cecità, esse sono, per un uomo ozioso e curioso, il più dilettevole tra i generi letterari. 

Le biblioteche sono la memoria dell’umanità. Una memoria infame, ha detto Shaw, ma noi costruiremo con esse un avvenire che somiglierà, almeno un poco, alle nostre speranze” (https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000062735_fre).

Dalla Biblioteca di Alessandria nell’antichità al rogo di Bebenplatz a Berlino nel 1933, dalla leggendaria biblioteca di Baghdad devastata nel XIII secolo alle molte biblioteche distrutte in Francia negli ultimi vent’anni per esplosioni di vandalismo, dalla biblioteca di Sarajevo bombardata nel 1992 alle centinaia di biblioteche ucraine finite in fiamme, da Roma a Mosul, dalla Cina della dinastia Qing a Gaza,  i regimi totalitari, i fanatismi religiosi e le guerre non hanno mai cessato di offendere e colpire l’immenso patrimonio umano conservato nei libri: la storia della distruzione delle biblioteche è senza fine.

Lo storico Lucien Xavier Polastron ha coniato il termine di génicide (geniocidio) per designare la distruzione del genio di un popolo e annientarne così la memoria. Non atti irrazionali e nichilisti, ma attacchi intenzionali a spazi che custodiscono storia, valori culturali, tracce di una civiltà. Per questo gli organismi internazionali hanno stabilito che la distruzione sistematica e deliberata delle biblioteche e degli archivi rappresenta un crimine contro l’umanità, in virtù del diritto internazionale umanitario e delle convenzioni di Ginevra (1949) e dell’Aia (1954).

È il genio visionario di Borges a offrirci l’immagine di una biblioteca misteriosa e infinita, che nulla potrà distruggere. Prima di lui, nel 1904, il matematico e scrittore tedesco Kurtd Lasswitz aveva fantasticato una “biblioteca universale” in grado di contenere “tutto ciò che l'umanità potrà mai recepire, siano essi fatti storici, la comprensione scientifica, la forza poetica o perfino gli insegnamenti della saggezza […] con tutte le varianti di stesura su cui nessuno ha ancora ragionato. […] E gli scritti perduti di Tacito e Platone e le relative traduzioni […] le opere complessive e future, tutti i discorsi dimenticati o non ancora pronunciati di tutti i parlamenti, la versione ufficiale della Dichiarazione di Pace Universale, la storia delle guerre che ne sono seguite” (Die Universalbibliothek, 1904).

A lui si ispira Borges quando scrive, nel 1941, La Biblioteca di Babele: idea – o piuttosto sogno -, di una biblioteca ultima e totale, che conterrà tutti i libri possibili, da quelli passati a quelli a venire: biblioteca vertiginosa, dove l’immensità del sapere si disperde in modo labirintico tra pagine illimitate che lo spirito umano non potrà mai afferrare. “Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’etica, parlo dell’infinito. Qualche volta ho desiderato compilare la sua mobile storia”, aveva scritto in Metempsicosi della tartaruga. Nell’infinito della Biblioteca i viaggiatori si smarriscono, oppure si perdono nella folle ricerca di risposte introvabili e illusorie. Riflesso del labirinto intellettuale in cui il mondo sprofonda man mano che avanza nel processo di conoscenza, la Biblioteca di Babele insegna che il sapere non si può possedere, ma anche che non si può rinunciare ad alimentarlo attivamente. 

“Lo scrivere metodico mi distrae dalla presente condizione degli uomini, cui la certezza di ciò, che tutto sta scritto, annienta o istupidisce. So di distretti in cui i giovani si prosternano dinanzi ai libri e ne baciano con barbarie le pagine, ma non sanno decifrare una sola lettera. Le epidemie, le discordie eretiche, le peregrinazioni che inevitabilmente degenerano in banditismo, hanno decimato la popolazione. Credo di aver già accennato ai suicidi, ogni anno più frequenti. M'inganneranno, forse, la vecchiezza e il timore, ma sospetto che la specie umana - l'unica - stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta. 

Aggiungo: infinita. Non introduco quest'aggettivo per un'abitudine retorica; dico che non è illogico pensare che il mondo sia infinito. Chi lo giudica limitato, suppone che in qualche luogo remoto i corridoi e le scale e gli esagoni possano inconcepibilmente cessare; ciò che è assurdo. Chi lo immagina senza limiti, dimentica che è limitato il numero possibile dei libri. Io m'arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca è illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l'Ordine). Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine” (J. L. Borges, "La Biblioteca di Babele", Tutte le opere, Mondadori, vol. 1, pp. 688-689)

Troviamo sulle pagine di Le Grand Continent un testo commovente di Federico Garcia Lorca. Lo scrisse per l'inaugurazione della biblioteca del suo villaggio natale di Fuente Vaqueros, nella provincia di Granada, nel settembre 1931 (https://legrandcontinent.eu/fr/2019/01/05/la-moitie-dun-pain-et-un-livre/).

Narra quell’avventura lunga e drammatica che è la storia del libro, un’avventura fatta di lavoro, sofferenza e genio, cui non pensiamo quando abbiamo tra le mani un libro. Eppure essa accompagna la storia stessa dell’umanità: i primi uomini, narra, crearono libri di pietra e incisero sulle rocce i segni delle loro credenze. Poi usarono il metallo e incisero tavolette di piombo o d’oro. Più tardi Caldei e Assiri raccolsero in biblioteche innumerevoli tavolette d’argilla. Gli Egiziani scrissero su grandi foglie vegetali, i papiri, e i papiri arrotolati furono i primi veri libri. Ma il faraone Tolomeo V vietò l’esportazione dei rotoli di papiro, così a Pergamo nacque l'idea di utilizzare pelli di animali essiccate: nacque la pergamena, che soppiantò il papiro e ospitò i segni dell’uomo fino alla scoperta della carta. Tutto questo prese un tempo lunghissimo, durante il quale l’uomo “con le unghie, con gli occhi e il sangue”, continuò a cercare i modi per “fissare nell’eternità, diffondere ed esprimere, il pensiero e la bellezza”. In realtà non un solo uomo, né cento, dice il poeta: è l’umanità, la forza immensa che sprigiona dall’umano e al tempo stesso lo nutre, a generare questo processo e a renderlo irresistibile.

La biblioteca di Pergamo fu nell’età ellenistica il più grande centro di cultura greca e ospitò forse 200.000 libri; Marco Antonio – così narra la leggenda-, la depredò e ne fece un dono di nozze per Cleopatra. A Roma tutte le opere dei grandi poeti latini furono scritte su pergamena. Il libro si diffondeva, seppure tra pochi, i segni pazientemente incisi a mano, pagina dopo pagina; con pennelli sottilissimi, quasi fili d’aria, artisti sconosciuti dipingevano tra i segni scritti meravigliose miniature. “Ma l’uomo voleva di più. L’Umanità spingeva misteriosamente alcuni di noi ad aprire con asce di luce lo spesso legno dell’ignoranza”: il 7 luglio del 751 dell’era cristiana, dalla Cina la carta penetrò in Occidente. Si dice che conquistatori arabi abbiano appreso il segreto della carta da prigionieri cinesi, nello scontro con il Celeste Impero.

Nel XV secolo, a Magonza, in Germania, Gutenberg ebbe l'idea di modellare le lettere in piombo e stamparle su carta: fu un’idea semplice e geniale: i caratteri diventavano mobili e il libro poteva moltiplicarsi all'infinito! Agli occhi del poeta né l’avvento della polvere da sparo né la scoperta dell’America eguagliano l’importanza e la portata di questa invenzione, che scosse le società nel loro fondamento. 

“Allora i libri antichi, di cui restavano solo poche copie, si affollarono alle porte delle tipografie e delle case dei saggi, chiedendo a gran voce di essere pubblicati, tradotti e diffusi in tutto il mondo. È il grande momento del mondo. È il Rinascimento. È l'alba gloriosa delle culture moderne in cui viviamo”.

Ma la storia dei libri è anche una storia di distruzione, saccheggi, violenze. Furono i monasteri a salvare l’umanità: la cultura e il sapere trovarono riparo nei chiostri, dove i monaci seppero conservarli e proteggerli; nel fare questo appresero e trasmisero, assicurando una continuità tra generazioni ed epoche lontane. 

Col Rinascimento le biblioteche si moltiplicarono. I libri si abbellirono con decorazioni e immagini. L’incisione, nata nel XV secolo, si perfezionò, entrando tra le pagine per creare, nel XVIII secolo, libri di insuperata bellezza.

A dispetto delle persecuzioni, dei roghi, delle offese, i libri continuavano a circolare e, col passare del tempo, da oggetto di culto riservato a pochi eletti diventavano potente fattore di cambiamento sociale. “Sono i libri a fare le rivoluzioni”.

 “Libri, libri! Magica parola, che equivale a dire 'amore, amore', e che le genti dovrebbero reclamare come chiedono il pane o come sperano nella pioggia per le loro semine. Fédor Dostoevskij, in Siberia, lontano dal mondo, chiuso in una cella, circondato da desolate e infinite distese di neve, quando nelle lettere chiedeva soccorso alla famiglia domandava ‘libri, libri, molti libri’, perché la sua anima restasse viva.

Aveva freddo ma non chiedeva fuoco, aveva terribilmente sete ma non chiedeva acqua, chiedeva libri, come fossero orizzonti, come fossero scale verso le altezze dello spirito e del cuore. L'agonia fisica, biologica, naturale di un corpo, per fame, sete o freddo, non dura che un istante, un breve istante; l'agonia di un'anima insoddisfatta dura quanto la vita stessa […] L'uomo non vive di solo pane. Se fossi per strada, affamato e indigente, non chiederei l'elemosina per un tozzo di pane: chiederei mezzo tozzo e un libro […] Capita sovente che un popolo sia addormentato come l'acqua di uno stagno in un giorno senza vento. Le rane dormono sul fondo e gli uccelli stanno immobili sui rami che lo circondano. Ma lanciate all'improvviso un sasso. Vedrete un'esplosione di cerchi concentrici, di onde circolari che si dilatano urtandosi l’un l’altra e si infrangono contro i bordi. Vedrete l’acqua fremere, le rane gorgogliare dappertutto, un’agitazione in tutte le rive e persino gli uccelli che sonnecchiavano sui rami ombrosi alzarsi improvvisamente in volo verso il cielo blu. Sovente un popolo dorme come l'acqua di uno stagno in un giorno senza vento e un libro, o alcuni libri, possono scuoterlo, agitarlo e indicargli nuovi orizzonti di progresso e armonia”.

Federico Garcia Lorca fu arrestato il 16 agosto 1936 e il 19 agosto fucilato dai falangisti di Francisco Franco: il suo corpo non è mai stato  ritrovato. La dittatura franchista mise al bando le sue opere. Oggi la sua poesia fa parte di quel patrimonio che sostiene la nostra umanità.

Che le parole pronunciate dal poeta andaluso – nella loro bellezza e nella loro innocenza -, omaggio ad una biblioteca nascente, siano di buon auspicio per il nostro lavoro culturale che con l’autunno riprende.

Angela Peduto

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