I racconti delll’adolescenza; parole tra scrittura e ascolto
Esce in questi giorni nelle librerie per i tipi Einaudi, sezione I Coralli, il nuovo romanzo di Giorgio Scianna: Senza dirlo a nessuno.
L’autore aggiunge un nuovo tassello a quel retablo sull’adolescenza che va ormai componendo dal 2007 con Fai di te la notte al quale si sono aggiunti altri fortunati scritti, il più delle volte insigniti di prestigiosi premi letterari, come La regola dei pesci, Cose più grandi di noi, Le api non vedono il rosso.
Senza dirlo a nessuno è il racconto di un viaggio, quello che il protagonista Manish ,un ragazzo di 16 anni, per metà indiano e per metà italiano, improvvisamente intraprende da solo e che una mattina lo porterà da Londra, dove vive col padre, a Roma. Lo seguiamo, tra le primissime battute del romanzo, nell’assolata ed estraniante città agostana, raggiungere Piazza Vittorio ed essere protagonista di un arresto per spaccio cui farà seguito una notte in commissariato e l’inatteso rilascio il giorno successivo, grazie anche all’intervento dell’Ambasciata Britannica.
Tutto sembra risolto, inspiegabilmente. Barbara, la madre, dermatologa a Genova dove si è risposata dopo il divorzio da Kirti, padre di Manish, lo raggiunge precipitosamente dopo la notizia dell’arresto.
L’affrettata conclusione della vicenda lascia però dubbi e interrogativi nella madre e nell’avvocato d’ufficio che alla fine viene scelto per far luce sul caso.
Il racconto di quanto segue nelle successive tre settimane ha tutte le caratteristiche di una spy story e come tale ci tiene incollati al testo.
Perché in effetti di spionaggio si tratta e del più inaspettato: trame da scoprire, verità nascoste, spesso inquietanti sul piano sociale e psicologico, che via via emergono.
Prende vita un mondo che non è solo quello dell’adolescenza e del suo spesso doloroso procedere; lo sguardo di Scianna si allarga alla condizione degli adulti, ciascuno col proprio retaggio di vita: visioni, cultura, errori, emozioni, contraddizioni. È lo sguardo su un mondo non più lineare, non più sostenuto da punti di riferimento duraturi. È il tempo della instabilità e delle fluidità.
Ogni passaggio sorretto da una scrittura al tempo stesso delicata e realistica. Il linguaggio della contemporaneità che si riflette nella sottile colonna sonora della musica adolescenziale e del suo immaginario. Tutto con il consueto equilibrio, nessun cedimento al sentimentalismo o al facile psicologismo. Piuttosto un linguaggio che vuole illustrare e comprendere. Forme e contenuti dell’attualità ma lo sguardo rivolto a ben altro viaggio, a ben più profonda scoperta.
Fin dall’esergo iniziale affidato ad una citazione da Kim, forse il più bel romanzo di Kipling, l’autore ci mette sull’avviso del vero intento del romanzo.
Manish, come Kim, ha una doppia eredità genetica – europea ed indiana – e si addentrerà in un viaggio che lo porterà a prendere decisioni risolutive per la sua esistenza e identità di adulto. Sono in gioco per lui temi essenziali quali i propri valori, il senso di responsabilità delle proprie scelte, la fiducia degli altri, il rischio delle emozioni, i rapporti all’interno di una famiglia che ha vissuto la spaccatura del matrimonio ma soprattutto la lealtà verso ciò che sente.
Ed è un viaggio che compie tutto da solo, senza dirlo a nessuno, appunto. Non solo da Londra a Roma ma all’interno della stessa città da dove la bellezza sembra momentaneamente scomparsa, affossata nel caldo alienante e nelle zone della marginalità urbana che prende forma intorno alla stazione Termini.
Un viaggio all’interno di sé. Come nell’India di Kipling, groviglio e crocevia di desideri emozioni e scoperte.
Manish, pur essendo il protagonista, appare relativamente poco nell’economia del racconto. Ci viene presentato come un ragazzo “a posto”: non fuma, non fa uso di sostanze, va bene a scuola, si sa comportare in modo adeguato con gli altri. Ci chiediamo subito cosa c’entri lui col mondo dello spaccio e della droga.
Mentre gli adulti tentano di venire a capo della situazione, Manish conduce vita a sé.
Misteriosa negli incontri casuali: un ragazzo spagnolo conosciuto in albergo col quale scambia baci appassionati nell’androne di un palazzo, Carola incontrata a Londra l’estate precedente, ma soprattutto Ivan, compagno di arresto. Alter ego del protagonista, il ragazzo dai capelli color paglia è rappresentante di una emarginazione dove povertà, carenza di mezzi culturali, isolamento e solitudine, desiderio e bisogno di amicizia rendono ogni passaggio del quotidiano più difficile e si trasformano in scelte di criminalità e di isolamento. Ivan sarà alla fine tramite delle scelte di Manish, che il suo segreto custodisce così bene, e servirà a tutti, a lui soprattutto, per ricomporre su un altro piano quella famiglia diversamente articolata, costringendo tutti a imparare le regole di un gioco nuovo, consentendogli di transitare ad un essere adulto capace di procedere nel suo percorso di individuazione.
Il libro di Scianna ci fornisce un’utile opportunità per tornare a parlare di adolescenza anche sul piano dell’attività clinica e terapeutica.
Ancora una volta psicoanalisi e letteratura si incontrano, il logos si fa tramite di conoscenza individuale e collettiva. A cominciare dall’etimo.
Adolesco che ha la sua radice in Alere, nutrire, significa “crescere, prendere vigore” ed ha il suo contrappunto in Adultus che dello stesso verbo è il participio passato, colui, dunque, che è cresciuto e ha preso vigore.
Ma questo procedere sembra oggi bloccato o comunque reso più difficoltoso. L’adolescenza non ha più il sapore del risveglio ad una nuova vita.
L’adolescenza, proprio per le sue caratteristiche specifiche legate alla complessità dei processi di identificazione, risulta un indicatore straordinario delle trasformazioni socio culturali della nostra società, oltre che del disagio della nostra civiltà. Il tramonto dei vecchi modelli di riferimento - sia maschile che femminile – delle strutture familiari e dei processi educativi rendono l’adolescente di oggi maggiormente libero ma, purtroppo, anche privo di quelle coordinate che prima gli assicuravano sicurezza e stabilità. (Novelletto, 1986; Nicolò, 1998; de Vito, 1998, Pelizzari 2010).
L’adolescenza finisce per diventare la cartina di tornasole di un’epoca, rappresentazione di una nuova antropologia. La fragilità narcisistica, la rabbia e lo spaesamento che caratterizzano “i giovani di oggi” sono figli di un contesto che ha pian piano smantellato i propri garanti sociali (Stato, Chiesa, Partiti, ecc.) e modificato i propri riti di passaggio, con il rischio anche di annullare la distanza tra le generazioni. Un’adolescenza che si protrae, a volte, nell’essere adulti.
Assistiamo cosi all’emergenza di nuove patologie del corpo e sul corpo, ad una violenza inattesa, a disagi diversi, imprevedibili e inspiegabili o anche a nuove manifestazioni della sessualità più precoce e variamente articolata.
I nuovi fenomeni di disagio che caratterizzano gli adolescenti, hikikomori, reborn dolls, cutters, dipendenze, sembrano essere accomunati da una chiusura, da un arresto del desiderio – come sottolinea Laura Pigozzi nel suo Adolescenza zero (ed Nottetempo, 2019) – una forma disanimata dell’essere, una vertigine di passività. Ripiegati su loro stessi, incapaci di sperimentare e rischiare l’emozione del nuovo, di agire quella necessaria separazione che li porterà ad affrontare il loro viaggio nel mondo.
Citando Anna Freud, l’adolescenza per lungo tempo è stata considerata “la Cenerentola della Psicoanalisi”. Non più bambini, non ancora adulti, gli adolescenti rappresentavano e rappresentano una categoria a sé stante, difficile da catalogare, benché il modello di sviluppo descritto dalla grande psicoanalista - quanto lei chiama “disarmonie evolutive” - abbia fornito le basi per comprendere questa tappa evolutiva. Come giustamente affermava Raymond Cahn – punto di riferimento negli studi su adolescenza e psicanalisi – “I mutamenti e scombussolamenti che entrano nella stanza d’analisi ci consentono la nostra comprensione del disagio adolescenziale ma anche di inserirlo in modo più rigoroso in una prospettiva diacronica, dai suoi inizi fino ai suoi effetti a lungo termine, così da riconoscere il ruolo determinante che l’adolescenza svolge nell’organizzazione definitiva della mente.” (
Relazione conclusiva al VI° Congresso della Società Internazionale di Psichiatria dell’Adolescenza, Roma 26-29 giugno 2003)
Va riconosciuto a questo periodo della vita uno status particolare: vero crocevia a partire dal quale il soggetto sceglierà una direzione piuttosto che un’altra e che perciò determinerà il suo destino.
Queste specifiche trasformazioni sono la vera sfida che impegna l’adolescente: integrare i cambiamenti del suo corpo indotti dalla pubertà, trasformare i suoi legami con i genitori e accettare il lutto della separazione dal mondo infantile e dalla onnipotenza ad esso correlata, rifondare la sicurezza di sé, processo che alcuni psicoanalisti connettono alla ripresa dei processi di ri-narcisizzazione in adolescenza.
L’adolescenza sfida la psicoanalisi. Setting più flessibili e adattati alle capacità di riflessione e comunicazione dei ragazzi assicurano un legame più certo e fiducioso col professionista. Fermi nell’accoglienza e mutevoli nel dialogo per consentire l’espressione di mutamenti e contraddizioni che caratterizzano questa specifica fase dell’esistenza: il corpo e le sue nuove pulsioni, lo sviluppo di un pensiero che include il proprio futuro, le relazioni e la propria posizione nel mondo, il confronto con gli adulti e le loro logiche.
L’adolescente ha bisogno di incontrare qualcuno che dia voce alla sua sofferenza, che la accolga e la ascolti, senza necessariamente dare ad essa un’etichetta o un nome. Non più terapeuti silenziosi e distanti ma persone umane, raggiungibili, comunicative, che aiutino a ritrovare sul piano del tempo lo spazio della riflessione sottraendolo all’impellenza dell’agire, riconducendo con dolcezza l’extrapsichico all’intrapsichico. Quando è necessario, supportando anche l’azione.
Consentire, quindi, quel percorso di soggettivazione che rimane la vera sfida di ogni adolescente. Costruire la nuova identità recuperando quanto il passato rende ancora utile con i nuovi oggetti del presente. Un terapeuta che si fa costruttore con lui di una nuova armonia.